sabato 27 ottobre 2012

Festa dei frutti dimenticati 2017

La 27^ edizione della  Festa dei Frutti Dimenticati e del Marrone si svolge nei giorni 8, 9 e 15, 16 ottobre 2017 a Casola Valsenio (Ravenna)


Nel paese di Casola Valsenio, che si fregia del titolo di "Paese delle Erbe e dei Frutti Dimenticati", le antiche tradizioni contadine locali di coltivazione delle piante si esprimono anche nella salvaguardia di alberi da frutto di varietà ormai abbandonate o uscite di produzione. A questi frutti dimenticati Casola Valsenio dedica un doppio originale appuntamento autunnale: la Festa dei Frutti Dimenticati  e del Marrone di Casola Valsenio.
Piante spontanee o coltivate negli orti e nei frutteti di casa per il consumo domestico fin dal tardo Medioevo, i frutti dimenticati sono perlopiù caratteristici della stagione autunnale e rappresentavano una preziosa scorta di cibo da conservare con cura per l'inverno. Salvati dall'estinzione e recuperati per la gioia di chi li ha conosciuti e per chi li vede per la prima volta, ecco tanti bei frutti profumati, dai colori caldi e dai nomi spesso originali: giuggiole, pere spadone, corniole, nespole, mele cotogne, corbezzoli, azzeruole, sorbe, pere volpine, uva spina, senza dimenticare noci, nocciole, melagrane e ovviamente i Marroni.
La ripresa d’interesse verso i frutti di un tempo è rivolta anche al recupero di antichi metodi di conservazione, lavorazione e consumo alimentare. Per questo, nel corso della festa si svolge un concorso di marmellate e uno di dolci al Marrone, mentre i ristoranti della zona propongono per tutto l’autunno la “Cucina ai frutti dimenticati”. Si tratta di piatti che utilizzano i prodotti tradizionali del territorio, sia secondo la consuetudine sia in modo moderno, proponendo una cucina gradevole, naturale e dal forte potere evocativo.

Fra le ricette a base di questi frutti ricordiamo: la salsa di rovo e di gelso, le composte di corniole e di cotogne, la torta di mele selvatiche e i dessert con protagoniste le pere volpine, le castagne, l'alkermes, il vino e il formaggio. Un gruppo di frutti dimenticati serve per preparare un antico piatto tipico, il "migliaccio", che richiede mele cotogne, pere volpine, mele gialle, cioccolato, pane, raffermo grattugiato, canditi, riso e, secondo l’antica ricetta, sangue di maiale in aggiunta.

A Casola Valsenio, infine, i frutti dimenticati si sposano perfettamente con le piante aromatiche del locale Giardino Officinale e danno vita a piatti straordinari come le insalate di sedano, ribes bianco e rosso in agrodolce, o di finocchio selvatico con tarassaco, cerfoglio e salsa di melagrana, ottime se condite con l'olio extravergine Brisighello. Nei menù compaiono i risotti di pere volpine, l'arrosto di arista con castagne e lamponi o il rotolo di vitello alla melagrana, la crostata di marmellata di sorbe, le prugnole ripiene di noci e zabaione, il sorbetto alle corniole.




Continua a leggere il programma completo QUI 

Le foto della Festa dei frutti dimenticati 2013

Album  La festa 2013 (miscellanea) .......>>>
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Le foto della Festa dei frutti dimenticati 2012

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venerdì 26 ottobre 2012

giovedì 4 ottobre 2012

Festa Frutti dimenticati 2012

Torna per il 22° anno la Festa dei Frutti dimenticati nel “Paese delle erbe e dei frutti dimenticati”. Quest'anno la festa raddoppia, due fine settimana ( 13/14 - 20/21 ottobre 2012) dedicati ai frutti dimenticati e al marrone di Casola Valsenio.
Casola Valsenio ha riscoperto questi “frutti dimenticati” e ha dedicato loro una festa che nel tempo è diventata sempre più importante e apprezzata per la cura e l’originalità.
Le Aziende agricole casolane espongono, in scenografiche bancarelle, i frutti autunnali raccolti da vecchie piante sopravvissute o da nuove piante collocate dopo la ripresa di interesse verso questi prodotti naturali.

Si tratta di azzeruole, noci, avellane, prugnoli, mele della rosa, corniole, melegrane, corbezzole, giuggiole, pere volpine, cotogni, marroni e nespole proposti sia al naturale che lavorati sotto forma di confetture, cotognate, brodo di giuggiole e così via. Si accompagnano ad allestimenti, decorazioni e ricostruzioni che rimandano alle atmosfere del mondo rurale di un tempo.


Scarica il programma della Festa dei Frutti dimenticati che si svolgerà nei due weekend. Sabato 13 e Domenica 14 ottobre – Sabato 20 e domenica 21. Dal sito della Proloco di Casola Valsenio il programma in pdf QUI

Sempre on line il regolamento scaricabile per partecipare alla "Festa dei frutti dimenticati" che si svolgerà sabato 13 e domenica 14 ottobre e sabato 20 e domenica 21 ottobre.
Si tratta dei regolamenti per partecipare ai concorsi Bancabella, Vetrinabella, Dolce di marroni, Marmellata di Frutti dimenticati. Scarica il regolamentl in pdf QUI

mercoledì 3 ottobre 2012

Sorba

HABITAT
Il sorbo domestico è un albero originario dell'Europa Meridionale, con grande adattabilità anche in altri areali. In Italia cresce spontaneo nei boschi di quercie caducifoglie della fascia submediterranea e submontana. È una pianta che necessita di molta luce (eliofila).
È distribuito nell'Europa Centrale e Meridionale e nell'Africa Settentrionale, con disgiunzioni in Spagna e in Crimea. È spesso coltivata come pianta ornamentale per giardini e viali.
 Il sorbo domestico è un albero da frutto, anche se i suoi frutti sono oggi raramente utilizzati. Si possono ricavare marmellate oppure possono essere mangiati direttamente dopo un processo di avvizzimento. Il sorbo è una pianta molto rustica e longeva, infatti puo vivere fino a300-400anni.
Il legno di sorbo e di ottima qualità, per cui si potrebbe impiegare misto ad altre specie per il rimboschimento delle radure nelle fascie collinari e della bassa montagna.

DESCRIZIONE BOTANICA
Il sorbo domestico è un albero alto da 12 a 15 metri, a foglie caduche e chioma tondeggiante. L'apparato radicale è fittonante. Il fusto è eretto e i rami sono grigi, tomentosi ( pelosi) all'inizio poi quasi glabri. La corteccia è liscia con numerose ramificazioni aperte e leggermente pendule verso l'estremità. Le gemme si presentano di forma allungato-conica o globose, glabre e viscose. Le foglie sono composte, imparipennate, formate da 11-19 foglioline (4.5x1-2 cm.), lunghe fino a 20 cm, sessili a margine intero nel terzo prossimale ed è acutamente dentato nel resto. L'apice è acuto. Nella pagina superiore la foglia è glabra e in quella inferiore, nella prima fase di accrescimento, si presenta tomentosa.
I fiori sono ermafroditi, riuniti in corimbi multiformi, tomentosi, di colore bianco con leggere sfumature rosee. Sbocciano in maggio sui rami dell'anno. Il frutto è un pomo di forma variabile da subgloboso o a forma di pera lungo il pomo, da 20 a 40 mm, all'inizio di colore giallo rossastro, poi rosso bruno. I frutti sono riuniti in mazzetti di 5-10. Maturano in settembre.
La pianta inizia la sua attività vegetativa dal mese di marzo, nei climi temperati, e in aprile in quelli più freddi. La fioritura avviene circa un mese dopo sui rami fioriferi, indicando la fine dell'accrescimento dell'albero. I rami a legno continuano la loro crescita fino a luglio inoltrato per riprendere nei giovani esemplari in settembre. La maturazione dei frutti avviene scalarmente. La caduta delle foglie avviene fra ottobre e dicembre.
Le piante impiegano diversi anni per entrare in produzione, a volte anche oltre i 15 anni. Alcune piante possono produrre fino a 2OO kg di frutti in un anno. La raccolta dei frutti avviene quasi sempre a terra, causa l'eccessiva altezza della pianta.
Varietà
Il sorbo domestico è un albero alto da 12 a 15 metri, a foglie caduche e chioma tondeggiante. L'apparato radicale è fittonante. Il fusto è eretto e i rami sono grigi, tomentosi ( pelosi) all'inizio poi quasi glabri. La corteccia è liscia con numerose ramificazioni aperte e leggermente pendule verso l'estremità. Le gemme si presentano di forma allungato-conica o globose, glabre e viscose. Le foglie sono composte, imparipennate, formate da 11-19 foglioline (4.5x1-2 cm.), lunghe fino a 20 cm, sessili a margine intero nel terzo prossimale ed è acutamente dentato nel resto. L'apice è acuto. Nella pagina superiore la foglia è glabra e in quella inferiore, nella prima fase di accrescimento, si presenta tomentosa.
I fiori sono ermafroditi, riuniti in corimbi multiformi, tomentosi, di colore bianco con leggere sfumature rosee. Sbocciano in maggio sui rami dell'anno. Il frutto è un pomo di forma variabile da subgloboso o a forma di pera lungo il pomo, da 20 a 40 mm, all'inizio di colore giallo rossastro, poi rosso bruno. I frutti sono riuniti in mazzetti di 5-10. Maturano in settembre.
La pianta inizia la sua attività vegetativa dal mese di marzo, nei climi temperati, e in aprile in quelli più freddi. La fioritura avviene circa un mese dopo sui rami fioriferi, indicando la fine dell'accrescimento dell'albero. I rami a legno continuano la loro crescita fino a luglio inoltrato per riprendere nei giovani esemplari in settembre. La maturazione dei frutti avviene scalarmente. La caduta delle foglie avviene fra ottobre e dicembre.
Le piante impiegano diversi anni per entrare in produzione, a volte anche oltre i 15 anni. Alcune piante possono produrre fino a 2OO kg di frutti in un anno. La raccolta dei frutti avviene quasi sempre a terra, causa l'eccessiva altezza della pianta.

TECNICA COLTURALE
Terreno e clima
Il sorbo domestico si adatta facilmente ai differenti tipi di terreno, rifuggendo da quelli molto argillosi e pesanti. Cresce bene nelle zone di montagna e in terreni freschi e profondi. Riesce a sviluppare nei terreni calcarei, anche se il suo sviluppo è più limitato. Resiste bene ai freddi invernali e alle basse temperature, tollera i periodi di siccità estiva. È una pianta la cui produzione è spesso alternata. Chi la coltiva come pianta da frutto cerca di ridurne le dimensioni (cosa non facile) intervenendo con potature riequilibratrici eseguendo tagli più severi in annate di scarsa produzione, e tagli moderati in annate di carica.
Propagazione
Allo stato naturale il sorbo si riproduce per seme impiegando quasi due anni per germinare. I vivaisti per accelerare i tempi ricorrono all'impiego di polloni o all'innesto su biancospino e su cotogno. In questo ultimo caso si hanno piante più piccole, meno vigorose riscontrando in alcuni esemplari il fenomeno della disaffinità. Le tecniche dell'innesto utilizzate sono quelle a gemma, a corona e a spacco. Anche le piante ottenute da seme vengono spesso innestate. Per accelerare la germinazione dei semi e ridurre il lungo periodo di quiescenza si ricorre alla vernalizzazione per 3 mesi a 3-5°C, stratificandoli poi in sabbia umida per 4 settimane, con temperature oscillanti tra i 2O e i 3O gradi. Un altro metodo consiste nella stratificazione in sabbia umida per 2 settimane a 25 gradi e successivo trattamento al freddo (1-5 gradi) per 14-16 settimane. Una percentuale di germinazione molto elevata (9O-95 %) è stata ottenuta conservando per un anno i semi a temperatura ambiente con successivo trattamento al freddo (1 grado) per 4 mesi. Le piante originate dai semi hanno un accrescimento molto lento e nel primo anno raggiungono appena i 1O-15 cm. Crescite più veloci si hanno nelle piante innestate, dove, già al primo anno, il germoglio può raggiungiere il metro di lunghezza, con internodi molto lunghi e senza emissione di rami anticipati. La crescita delle gemme apicali continua per i primi tre anni, sviluppando le 4-5 gemme sottostani le gemme apicali. In seguito il ritmo di accrescimento rallenta, fino ad arrivare alla fase adulta con forma globosa dell'albero. Nella pianta adulta i germogli dell'anno raggiungono lunghezze di appena qualche cm.

Avversità
La ticchiolatura (Venturia inequalis) è una delle malattie più gravi del meloe del sorbo la cui dannosità si manifesta maggiormente nei paesi a clima caldo-umido. Colpisce le foglie, i frutti, i fiori e in casi particolari anche i rami. Le foglie giovani sono più sensibili delle vecchie; presentano dapprima piccole macchie rotondeggianti clorotiche con contorni marcati, diventando poi di aspetto fulliginoso, nerastro e vellutato, per la presenza di fruttificazioni del patogeno. Sono di numero variabile, puntiformi e allungate, disposte lungo le nervature, o confluenti su tutta la superficie superiore e inferiore della pagina fogliare. Il tessuto colpito si atrofizza e si secca. Gli attacchi di grave entità provocano la caduta delle foglie. Sui rami le alterazioni sono poco frequenti, e quando presenti, si notano delle chiazze grigiastre leggermente sollevate che mettono in evidenza delle tacche crostose sottostanti. Le alterazioni maggiori si riscontrano sui frutti venendo colpiti in qualsiasi stadio del loro sviluppo. L'alterazione si manifesta con macchie puntiformi o rotonde di 6-9 mm di diametro di colore olivastro o quasi nero. Le lesioni estendendosi suberificano arrestando lo sviluppo del frutto, che a maturazione apparirà deforme. La ruggine del melo (Gymnosporangium tremelloides Hart.), che colpisce anche il sorbo, è una malattia il cui microorganismo compie il proprio ciclo biologico su due piante di origine diversa, il ginepro e alcune rosaceae come il pero o il sorbo. La ruggine si manifesta sui rami delle diverse specie del genere juniperus, e sui rami del sorbo. I sintomi sul sorbo si manifestano sulle foglie e sui frutti verso la fine di maggio o i primi di giugno, quando le basidiospore trasportate dal vento passano dal ginepro al sorbo. Compaiono delle macchie ovali giallastre circondate da un'alone più chiaro che preludono alla formazione di punteggiature nerastre (picnidi) prominenti. I danni consistono nell'arresto della maturazione dei frutti dovuto al disseccamento delle foglie, e nei casi più gravi, nell'incapacità di fruttificare da parte della pianta malata. Afide delle pomaceae (Aphis pomi De Gear) è il comune afide verde che vive a spese di varie rosaceae. L'attacco si manifesta all'inizio del germogliamento, quando l'insetto penetra nella gemma causando dei ripiegamenti alle giovani foglie.
Ne consegue che i frutti in accrescimento non vengono nutriti abbastanza. L'afide in seguito può nutrirsi anche a spese dei germogli, i quali risulteranno contorti e ripiegati, provocando l'arresto dello sviluppo.
Nei paesi dell'Europa centro settentrionale, sul genere sorbus, si verificano frequenti attacchi di Erwinia amylavora agente, del colpo di fuoco batterico. Sul sorbo domestico la malattia non è stata riscontrata.

UTILIZZAZIONE
Alla maturazione fisiologica i frutti di sorbo domestico non sono commestibili perchè troppo astringenti a causa dell'elevato contenuto in tannino (1,7%). Per poter essere mangiati richiedono un processo di ammezzimento. Questo processo di post maturazione conferisce alle sorbe un sapore acidulo zuccherino gradevole e un tempo si eseguiva ponendo i frutti in luoghi con possibilità di areazione. Questi frutti vengono quasi sempre utilizzati e consumati direttamente nei luoghi di produzione. In alcuni casi vengono venduti nei mercati locali. Il trasporto viene eseguito quando non sono ancora ammezziti. Dai frutti si possono ricavare marmellate ottenute anche con l'aggiunta di mele, sidro più frequentemente usato in Germania per correggere quello di mele, e pere, oppure si può estrarre l'acido malico. Si possono raccogliere alla maturazione fisiologica, dividerli a metà e dopo essicazione al sole per 15-2O giorni, consumarli secchi.
In fitoterapia i frutti hanno proprietà astringenti, detergenti e tonificanti.
Il legno del sorbo domestico è molto duro, compatto, pesante e quindi particolarmente indicato per la lavorazione al tornio. Un tempo ne facevano viti, denti, mobili e ingranaggi. Dai rami si estrae un liquido nero da usare in tintoria e dalle foglie estraevano un tempo il tannino, per conciare le pelli.
Grazie alla grande rusticità e resistenza alle avversità il sorbo domestico è particolarmente indicato per la coltivazione biologica, per la valorizzazione di zone marginali di collina e montagna, con terreni in forte pendenza e poveri.

ALTRE SPECIE DI SORBO
Nelle nostre colline sono presenti altre tre specie di sorbi con frutti commestibili:
il "Sorbus aucuparia L."
il "Sorbus torminalis ( L. ) Crantz."
il "Sorbus aria ( L. ) Crantz."
Il Sorbus aucuparia è chiamato sorbo degli uccellatori, perchè fonte di cibo per i tordi e altri uccelli, che le ingoiano intere nei mesi invernali. Viene chiamata anche sorba o pomarlel.
La pianta è un albero deciduo, alto fino a 18 m ,con chioma rada e corteccia grigia, liscia e lucida nella pianta giovane, diventando fessurata e nerastra nella pianta adulta. Le foglie sono alterne e imparipennate, lunghe da 1O a 22 cm, con 4-9 paia di foglioline sessili, di colore verde nella pagina superiore e glauche inferiormente. I fiori sono ermafroditi, riuniti in corimbi eretti, di colore bianco. Fiorisce da maggio a luglio. Il frutto è una drupa globosa di colore rosso ed è ricco di vit. C. Il suo sapore e acidulo. Matura nei mesi di agosto e settembre. Il sorbo degli uccelatori si trova sporadico nei boschi di faggio o come arbusto nelle pendici sassose e detritiche. Il legno di questa pianta è duro, usato per lavori di falegnameria. Oltre alla polpa acidula gli uccelli utilizzano anche i semi che vengono intaccati dai succhi gastrici ottenendo un ulteriore nutrimento.
La specie selvatica non è utile per l'alimentazione umana. A questo scopo sono state migliorate alcune cultivar a frutti dolci:
Var. "rossica" con frutti eduli e grandi;
var: "xantocarpa" con frutti giallo ambra;
var. "edulis" a foglie grandi e frutto dolce;
var. "asplenifolia" con le fogliole profondamente incise;
var. "beissneri" con chioma densa e rami eretti; i giovani getti sono di colore rosso corallo e le foglie giallo verde.
Alcune di queste varietà vengono coltivate nei giardini a scopo ornamentale.

Il Sorbus torminalis viene chiamato anche ciavardello, baccarello, o pero cerbone, per la forma dei suoi frutti simili a quelli della pera.
È un albero deciduo, alto fino a 15 m, presente però spesso come piccolo arbusto. La corteccia è bruno-grigia e lucida. Le foglie sono alterne semplici, picciolate con 3-4 paia di lobi, meno profondi verso l'apice (ricorda vagamente la foglia della vite), cotonose inizialmente e a sviluppo completato diventano glabre, con la pagina superiore di colore verde, e grigiastra in quella inferiore. I fiori sono ermafroditi, sono riuniti in infiorescenze erette e aperte, di colore bianco. Il frutto è di colore bruno di forma globosa con diametro di 1,5 cm e contiene 4 semi rosso-bruni. La pianta fiorisce in maggio-giugno, mentre i frutti sono maturi nel mese di settembre.
Anche il legno di questa pianta viene utilizzato in falegnameria, e i frutti sono eduli, in passato erano utilizzati in medicina. Anche le bacche di questa pianta sono una buona fonte di nutrimento per i tordacei.
Il sorbus aria è chiamato anche sorbo montano, farinaccio o sorbo bianco, per la colorazione grigia biancastra della pagina inferiore delle foglie. La pianta è un arbusto con rami rosso-lucenti e con corteccia grigia a chiazze bianche.
La chioma è ovale. Le foglie sono alterne, picciolate, con lamina da ovale ad obovata a margine seghettato, con la pagina superiore di colore verde scuro lucido e quella inferiore argentea tomentosa, con nervature fortemente rilevate.
I fiori, riuniti in corimbi eretti, sono bianchi e fioriscono in maggio-giugno. I frutti sono globosi, di 15 mm di diametro, di colore rosso arancio con polpa gialla e farinosa e all'interno due semi. Il sorbo montano è spesso presente allo stato spontaneo, anche a forma di albero, e in alcuni casi può raggiungiere altezze di 1O-12 m.
È una pianta rustica spesso utilizzata per ricoprire pendici detritiche. Il suo legno è duro, utilizzato per lavori di falegnameria minuta. I frutti possono essere distillati. Anche le bacche di questa pianta sono gradite agli uccelli.

Prugnola



HABITAT
Il prugnolo è una pianta mediamente xerofila, eliofila e basifila; ama medie concentrazioni di sali nutritizi e si trova di frequente nei boschi collinari aperti e luminosi o nelle siepi e nelle formazioni di arbusti che possono
preludere alla ricostituzione di boschi di querce. È distribuito in Europa, Africa settentrionale, Asia occidentale.
DESCRIZIONE BOTANICA

Arbusto spinoso e caducifolio, con chioma densa ed intricata. I rami sono ricchi di spine, e i giovani rami sono pruinosi e fragili. Le foglie sono alterne, ovate con esili piccioli e il loro margine è finemente e doppiamente seghettato. I fiori, che compaiono prima delle foglie, sono bianchi riuniti in gruppi addensati. Fiorisce in marzo-aprile. I frutti sono drupe tondeggianti nero bluastre di sapore allappante e maturano in agosto-settembre.

Varietà
Tutte le varietà di prunus spinosa coltivate sono da ornamento. Vengono coltivate per la decorazione di parchi e giardini e caratterizzate per la fioritura più duratura e una colorazione diversa dei fiori e delle foglie.

TECNICA COLTURALE

Terreno
Il prugnolo cresce bene in tutti i terreni ben drenati, leggermente calcarei, non troppo asciutti, dove non si verifichino ristagni d'acqua. Si pianta da novembre a marzo escludendo i periodi di grandi gelate.
Il prugnolo viene lasciato libero nel suo sviluppo, assumendo forma ad alberello. Si adatta facilmente anche ad altre forme di allevamento, quale la forma a palmetta o a piramide. Si coltiva spesso per fare delle siepi, sopportando molto bene le varie forme di potatura.
Il prugnolo si riproduce facilmente per seme anche eseguendo la semina in autunno all'aperto. Altra tecnica utilizzata è l'impiego di talee legnose, lunghe 1O-15 cm, prelevate dalle piante madri alla fine dell'inverno o di talee semilegnose, nel mese di luglio e messe a radicare in un miscuglio di sabbia e torba in parti uguali con umidità controllata.
Le talee radicate si potranno trapiantare in vivaio e dopo 2 anni mettere a dimora.

PropagazioneIl lampone si moltiplica mediante polloni radicali staccati dalla pianta madre dal mese di novembre al mese di marzo, cercando di non rompere le radichette.
Si può moltiplicare anche per propaggine semplice e propaggine apicale; quest'ultima permette di ottenere risultati migliori soprattutto se si esegue nel mese di agosto -settembre. In primavera le nuove piantine potranno essere staccate dalla pianta madre e piantate a dimora.
Avversità
Difficilmente si nota presenza di malattie sulle piante allo stato spontaneo. Più frequente è la presenza di attacchi parassitari e fungini sulle varietà di prugnolo da fiore.

UTILIZZAZIONE
I frutti vengono raccolti quando sono ben maturi per la preparazione di liquori. Non sono impiegati per l'uso fresco in quanto troppo aspri ed allappanti.
In fitoterapia i fiori possono essere impiegati in infuso e in decotti per le proprietà diuretiche e lassative. Le foglie sono depurative e spesso sono utilizzate secche per la preparazione di thè.

Pera volpina

HABITAT
La pera volpina è una vecchia cultivar di pero presente in romagna da oltre 1 secolo. Questa pianta era spesso coltivata come tutore lungo i vecchi filari di viti (pergoletta romagnola). Attualmente la troviamo in vicinanza di vecchie case di campagna, in mezzo a vecchi vigneti ,e in alcuni casi, ancora in mezzo ai boschi, oggi abbandonati, dove un tempo il terreno risultava coltivato.
È una pianta molto rustica che si adatta facilmente ai vari tipi di terreno, preferendo quelli profondi, freschi, fertili, riuscendo a sopravvivere e a sviluppare anche sui terreni calcarei e aridi, soprattutto se innestata su biancospino, sorbo e azzeruolo.
DESCRIZIONE BOTANICA


Pianta arborea da frutto a foglie decidue, che può raggiungiere anche i 10 m di altezza e una larghezza della chioma di 7-8 m. L'apparato radicale è fascicolato, non sempre molto profondo, e lo sviluppo è spesso legato al tipo di portainnesto utilizzato.

Il fusto ha la corteccia rugosa e fessurata, carattere molto marcato nelle piante molto vecchie.
Le foglie sono acuminate all'apice, di colore verde scuro, lucido nella pagina superiore e di colore più chiaro nella pagina inferiore. Le foglie prima di cadere assumono una colorazione rossiccia.
Presenta due tipi di gemme:
- gemme a legno, con produzione di rametti e foglie
- gemme miste, con produzione di foglie e fiori.

I fiori sono bianchi e sbocciano nel mese di aprile. Il frutto del pero volpino ha la tipica conformazione a pera, con una altezza di 8-10 cm e un diametro di 5-6 cm. Spesso sulle piante si trovano frutti di pezzature più grande ma sono presenti in numero minore. La colorazione del frutto è di un marrone brunastro, rugginoso.
La polpa è consistente anche a maturazione, tanto da dover essere consumata solamente previa cottura.


CARATTERISTICHE GENERALI
La produzione di frutti, da parte della pianta, non sempre è costante, alternando annate di forte carica, con annate di carica minore. Nelle colline di Casola Valsenio, di Brisighella e di Riolo Terme, sono state trovate piante di oltre 60 anni di età, questo dimostra la longevità della specie.
La produzione dei frutti su piante innestate su franco inizia molto tardi, dopo circa 6-8 anni. Sulle piante adulte gli interventi di potatura sono quasi sempre limitati al taglio dei rami secchi e al taglio di eventuali polloni.
La pianta sembra essere abbastanza resistente anche agli attacchi parassitari ed ai patogeni, in quanto non si sono riscontrate infezioni tali da compromettere lo sviluppo e la produzione dei frutti.
Nota: Abbiamo riportato solo alcuni dati relativi alla varietà di pero volpino, rimandando il lettore per altre informazioni a testi specializzati per la coltivazione del pero.

Noce

Storia
Il frutto è costituito da una drupa con mallo polposo verde, noce ossea ovale di due valve ed all'interno due semi coperti da pellicola color nocciola.
Secondo il Mattioli "Chiamansi le Noci da Latini Iuglandes, cioè ghiande di Giove. Più veramente sono le spetie delle noci differenti di forma, di scorza, di durezza, e di sapore, quelle sono le migliori, che sono lunghette, e fragili con bianco guscio, e con il nucleo separato, dalla scorza, e al gusto ben dolci.
La parte poscia che si mangia, è oliosa: dalla quale si cava benissimo l'olio: ma tirasi molto meglio dalle Noci vecchie spremendole, overo lambiccandole. Le noci secche sono costrettive, ma le verdi, e fresche non dimostrano facultà alcuna oliosa, ne costrettiva.
Digerisconsi le noci meglio che le nocciuole, e sono più utili allo stomaco, e massime mangiate insieme con i fichi.
La onde dissero alcuni medici, che chi mangia amendue questi frutti con ruta da digiuno, poco però avanti al cibo, s'assicura dal troppo nocumento de i veleni.
Le fresche più si convengono à muovere il corpo, che le secche: percioche meno costringono. Condisconsi le verdi, avanti che s'indurino, in zucchero, overo in mele: le quali sono poscia utili allo stomaco, e aggradevoli al gusto".
Il Castelvetro, a proposito delle noci, propone ed esalta l'agliata, un pesto di noci secche, aglio, pane bagnato nel brodo e pepe, e "s'usa poi dagli uomini più regolati di mangiar tal salsa con la carne fresca del porco, come antidoto contro la rea qualità di cotal carne, e con le oche, pur poco sano cibo. Usano ancora di coprirne i piatti di maccaroni e sopra le lasagne, che son grossi mangiari di pasta". Il gheriglio della noce è un alimento quasi completo, con calorie pari alla carne, ma inadatto agli stomachi deboli e cagionevoli.
Una preoccupazione che non avevano i braccianti e i contadini romagnoli i quali, d'abitudine, se ne cibavano durante tutto l'inverno e, in particolare, facevano colazione con pane fresco e noci, come ricorda un proverbio riportato nella prima parte, e come non pochi fanno ancora nella valle del Senio.
Per sottolineare il potere nutritivo del gheriglio, in contrapposizione alla mancanza di interesse che riveste il guscio, si paragonava il viver di nulla al Viver d'gos d'cocla. In questo quadro il famoso indovinello sulla noce già riportato nella prima parte (Ho una madiettina piccola piccola:/ ci stanno quattro tierine di pane) non cela solo l'immagine del frutto, ma anche tutto il suo valore nutritivo. Per la sua importanza alimentare, al pari della castagna, la crescita delle noci era seguita passo passo, secondo scadenze fissate dal calendario liturgico.

A cominciare dal momento in cui legano le noci, fissato tradizionalmente in corrispondenza del tre maggio: S'e piov e dè d'Santa Cros,/ è va falì al nos (Se piove il giorno di Santa Croce,/ non legano le noci). La seconda scadenza era in luglio, perché: Ad lôi,/ ogni nus la fa è garôi (In luglio,/ ogni noce fa il gheriglio). Per San Lorenzo, 10 agosto, la noce era finalmente matura: Par San Lurenz la cocla t'la pô stachè,/ parchè l'è fata da magnè (Per San Lorenzo la noce la puoi staccare,/ perché è matura per essere mangiata).

Mangiare la primizia rappresentava un atto di devozione, oltre che un piacere: Se e dè d San Lorenz è garoj t'magnaré/divuzion t'aquisterè (Se il giorno di San Lorenzo mangerai il gheriglio/ devozione acquisterai).
La raccolta delle noci durava poco più di un mese, in quanto doveva concludersi il 14 settembre, anche questo dedicato alla Santa Croce.
Sentenziavano infatti due proverbi: "Per Santa Croce/ la pertica sul noce" e "Per Santa Croce/ pane e noci". Un cosi stretto rapporto tra contadini e noci non poteva non riflettersi negli indovinelli. Basti ricordare: Verde verde com'è la verdura,/ e venti e acqua non mi fan paura,/ s'a m'chêv e mi vstì da dôs/ la pèl l'avânza dura com l'ôs (Verde verde come è la verdura,/ venti e acqua non mi fan paura,/ se mi tolgo il mio vestito di dosso/ la pelle resta dura come l'osso).

La noce era un tempo considerata simbolo di natività e quindi a larga mano profusa nelle nozze. Per questo ha assunto anche il significato di abbandono della infanzia: i giovani sposi che il dì delle nozze buttavano noci al popolo, annunciavano tacitamente che da quel giorno avrebbero abbandonato i giochi dell'infanzia, in molti dei quali si usavano le noci.

In cucina le noci entrano in molte preparazioni salate e dolci, in salse, conserve, e liquori, il più famoso dei quali è il nocino, prodotto con le noci acerbe raccolte la mattina di San Giovanni, quando sono ancora bagnate della rugiada caduta durante la magica notte del 24 giugno. Per l'elevato contenuto di vitamine e minerali, le noci sono indicate nella adolescenza, convalescenza e gravidanza, contro l'anemia e il rachitismo, mentre sono controindicate per i malati di reni e per gli obesi. Inoltre attivano la circolazione del sangue e rinforzano le vene ma spesso possono risultare poco digeribili.
        



I Frutti dimenticati nella gastronomia (Indice)

  

    

 




 

 
      
       




                

 

     



  






    


Nocciola

Storia


Frutto con cupola verde, guscio duro e seme polposo dolce, da consumarsi allo stato fresco e secco o tostato da tavola. "Le nocciuole - scrive Pietro Andrea Mattioli - le quali alcuni chiamano Avellane, e alcuni Nocelle furono anticamente chiamate Pontiche.
Sonuene delle domestiche delle lunghe, e delle tonde; ma più gentili assai al gusto sono le lunghe, e massime quelle che nel guscio rosseggiano, e son fragili da rompere. Maturansi le lunghe assai più tardi, che non fanno le tonde.
Il perché sono piene, più dense, e più mature; e si conservano più a lungo. Aumentano le nocciuole la cholera, e mangiandosene copiosamente generano la dissenteria, non di  mento trite e bevute con acqua melata giovano alla tosse, e bevute con un poco di pepe maturano il catarro.
La cenere delle abbrusciate insieme con il guscio incorporate con grascia di porco ò d'orso, fanno rinascere i capelli, che cascano.
Scrivono alcuni, che la cenere de gusci incorporata con oglio, e applicata alla fronte à i fanciulli, che hanno gli occhi bianchi, li fa diventare neri. è stato sperimentato, che toccandosi le serpi con una vergella di Nocciuolo restano stupide, e finalmente si muoiono, il che non debbe far maraviglia sapendosi che le nocciuole mangiate con fichi e ruta vagliono contra i veleni, e i morsi de gli animali velenosi.

Vale l'oglio cavato dalle nocciuole non poco à dolori delle gionture". Dal punto di vista alimentare ecco il parere di Giacomo Castelvetro: "Le nociuole lunghette sono le migliori; e d'alquanti anni in qua gli speziali ne coprono quantità di zucchero in luogo delle mandole, e riescono buone. Secche poi se ne conservano assai da mangiare lo 'nverno e particolarmente per la quadragesima (Quaresima).
Il suo frutto tanto verde quanto secco è molto grato alla bocca, ma tien nondimeno esser di malagevole digestione e non punto buono per li catarrosi; ma ogni cosa è sana all'uomo sano". Non sempre però il frutto corrisponde al suo involucro, come ricorda il già citato detto popolare, che ammonisce: L'è la fôla dla bèla avulâna;/dâtre l'è brotta e fôra l'è sana (è la favola della bella avellana;/ dentro è brutta e fuori è sana).
Sono frutti consumati fin dall'antichità e per i contadini romagnoli hanno rappresentato una fonte di sostentamento importante: sono infatti molto energetiche, ricche di proteine vegetali e zuccheri, ottimi sostitutivi della carne.

Una "dispensa" a cui si poteva attingere per tutto l'inverno grazie alla loro facile e lunga conservazione: forse nasce dal rapporto tra la disponibilità di una fonte energetica durante il riposo invernale e la nascita di figli la credenza che legava nocciole e nascite: "Annata di noccioli, manata di figlioli".
Altri individuano questo rapporto nella conformazione della avellana che è come un bambino, racchiuso nell'alvo materno per cui viene identificata come simbolo di natalità. In cucina le nocciole vanno in ripieni e salse per il pollo, unite ai frutti di finocchio.
Le nocciole sono raccomandate per i diabetici e, se tostate, sono più appetibili e digeribili. Nell'uso esterno, la pasta di nocciole rende la pelle liscia, mentre l'olio entra in creme emollienti e nutrienti per pelli secche ed avvizzite.