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mercoledì 3 ottobre 2012

I Frutti dimenticati nella gastronomia (Indice)

  

    

 




 

 
      
       




                

 

     



  






    


Sorba nella gastronomia

L'albero cresce spontaneo nei poderi abbandonati delle nostre colline, raramente coltivato anche se può svolgere ottimamente il ruolo ornamentale; tende ad inselvatichire per disseminazione spontanea.
Fa parte della famiglia delle rosacee e gode di un notevole sviluppo e longevità, ben si adatta ai vari climi e ai terreni sassosi.
Un tempo era assai più presente in collina, apprezzato e utilissimo per il suo legno, conteso dai falegnami; negli ultimi vent'anni le piante si sono diffuse per lo più spontaneamente.

Accanto alla pianta di sorbo comune o domestico cresce da sempre una pianta di sorbo selvatico, detto ciavardello, che fiorisce a maggio-giugno, fruttifica a settembre (i suoi frutti maturi hanno colore bruno e contengono 4 semi rossobruni); cresce nei boschi di latifoglie mescolandosi ad altri alberi, raggiungendo altezze considerevoli, attorno ai 15 m.

I frutti della sorba domestica sono acheni racchiusi in un falso frutto, formato dal ricettacolo accresciuto a forma di pera, di colore verde, giallastro, arancione, con striature rosse. In realtà quindi si utilizza il falso frutto, peraltro molto appetito dagli uccelli. Questo matura annualmente in autunno con regolarità. Non maturo è aspro, allappante, astringente, di colori vivaci. é comunque ricco di acidi organici, vitamina C, di tannini; possiede facoltà salutari.

Occorre pertanto che i falsi frutti in parola maturino, anzi addirittura stramaturino; che i loro vivaci colori divengano scialbi, sempre più violacei, dal giallo al rosso scuro, al tradizionale colore del saio dei frati di un tempo che la struttura diminuisca sensibilmente; ma occorre soprattutto che il loro sapore da aspro divenga deliziosamente gradevole e dolce (per intenderci, un dolce che ricorda il vino cotto e dolce) che l'aroma divenga più personale.

Per evitare che i falsi frutti cadano, vanno raccolti acerbi da settembre a novembre, ancora muniti di peduncolo (che ne agevolerà la maturazione ed eviterà ammuffimenti). Un tempo l'attesa avveniva ponendo le sorbe sulla paglia, nel solaio o in luogo asciutto (condizione valida ancora oggi). I tempi di maturazione fanno perdere alle sorbe la loro connaturata astringenza e penalizzano un po' il loro sapore, ma esaltano la freschezza, la morbidezza e l'inscurimento della polpa, che mantiene tuttavia un saporino acidulo piacevole e gradevolmente aspretto.

Come utilizzare le sorbe

Un tempo la polpa delle sorbe era particolarmente apprezzata per le proprietà diuretiche, rinfrescanti, di notevole potere astringente. Destinate soprattutto alla preparazione delle marmellate: le sorbe ben mature, vengono sbucciate, mescolate a sciroppo di zucchero vanigliato e bollite; infine insaporite con scorza di limone e invasate ancora calde; non mancano comunque in proposito diverse versioni.
Se ne ricava altresì un "vinello" bevuto in sostituzione dell'assente vino di uva, ottenuto dai frutti schiacciati e fermentati nell'acqua. Oppure sidro; bevande alcoliche; distillati (previa fermentazione); savor; decotti ricavati dal frutto essiccato a piccoli pezzi, indicati per le infiammazioni del cavo orale; più semplicemente cucinate nel miele e mangiate al cucchiaio; conservate sotto grappa, utili anche per aromatizzarla; in gelatina; in liquori o liquorini.

Una ricetta evoluta prevedeva la composizione di una salsa per accompagnare, in armonia, arrosti di carni rosse, selvaggina, carni in genere, anche bianche, ma anche pesce.
Più onestamente va riconosciuto che nelle consuetudini della gente di collina, le sorbe venivano in prevalenza mangiate, giorno dopo giorno, selezionate dal solaio, man mano che maturavano e portate in tavola a piccole quantità: l'emozione, la piccola emozione, era garantita dalla rarità dei frutti d'inverno.
A proposito del consumo fresco delle sorbe, va si consiglia di farne un consumo parsimonioso.
Nell'ambito di una gastronomia più moderna ed evoluta, le ricette più interessanti che si possono realizzare, oltre a quelle genericamente indicate sopra, sono la salsa di sorbe per pollame, più propriamente per tacchino arrosto e il soufflé di sorbe.
 
Ricette proposte

Arrosto con contorno di salsa di sorbe
Per l'arrosto possiamo optare per una faraona (ottenuta da allevamenti più che decorosi, in riferimento ai tempi di crescita e maturazione e alla alimentazione loro riservata), ma risultano altrettanto validi sia il fagiano che il tacchino, altresì il cappone.
La cottura della faraona avviene nel modo consueto, in un tegame da forno, salata e pepata, insaporita con aglio e rosmarino (ma opportunamente con le erbe officinali e aromatiche selezionate di Casola Valsenio), se si vuole lardellata e legata con spago da cucina; oppure più propriamente spennellata all'esterno con olio extravergine di oliva, ricoperta con carta stagnola e immessa nel forno attorno ai 180¡ c., per almeno un paio di ore, controllando di tanto in tanto la cottura o con brodo di carne oppure ungendo la faraona con i liquidi di cottura; se si ricorre al brodo occorre tenerne conto nella salatura complessiva. Una volta cotta, la faraona si toglie dal forno.
A parte si prepara la salsa di sorbe, che servirà da completamento al piatto.
Allo scopo le sorbe vengono schiacciate, unite a poco sale, immesse in poca acqua, e indi messe a cucinare per 7-8 minuti; poi vengono snocciolate e passate al setaccio, indi miscelate con zucchero.
Il composto si rimette sul fuoco fino al giusto e desiderato raddensamento.
La salsina ottenuta rappresenta un eccellente contorno all'arrosto. Va osservato che se la scelta dell'animale cade sul tacchino, essa risulta più sontuosa e all'altezza di una affollata tavola natalizia.
Per concludere segnaliamo gli ingredienti: 1 faraona; 300 gr di sorbe; 120 gr di zucchero; olio extravergine di oliva; sale, pepe, pancetta o lardo sottilmente affettato; spago da cucina; aglio; rosmarino; eventualmente brodo di carne; eventualmente vino bianco secco per sfumare l'arrosto.

Soufflé di sorbe
Servono: 1/2 Kg di sorbe ben mature, dolci e morbide; 1/2 etto di burro; 3-4 uova; 1 etto e 1/2 di zucchero semolato; 1/2 etto di mandorle finemente sminuzzate; pangrattato q.b.; zuccherini sbriciolati finemente.
Dapprima si mettono a cuocere le sorbe assieme allo zucchero e a 1 bicchiere d'acqua, in modo da ottenere una salsa morbida; prima che si raffreddi completamente si aggiunge quasi tutto il burro; poi vengono uniti i tuorli delle uova, le mandorle tritate, sufficiente pangrattato, in modo da ottenere un impasto piuttosto sodo. A parte si montano gli albumi delle uova e si fanno assorbire al composto. Si prende la teglia da forno adatta, imburrata e cosparsa con il trito degli zuccherini (ma anche di biscotti). Il composto si versa nella teglia e si inforna per circa mezz'ora a temperatura marcata (attorno ai 200¡c).
Ovviamente si serve il soufflé ancora fumante di forno.
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Prugnola nella gastronomia

Arbusto spontaneo; spinoso; poco vigoroso e limitatamente produttivo; della famiglia delle rosacee; contorto, fitto, di colore scuro; comune e spogliante; i cui rami possono restare bassi oppure ergersi e formare siepi fitte e inaccessibili.
Cresce per disseminazione spontanea, il che ne agevola la coltivazione, adattandosi a tante tipologie di terreni: umidi o aridi; ombrosi o soleggiati (che ovviamente predilige); incolti e degradati, sassosi; lungo strade e scarpate collinari; accanto a siepi e boschi. Vive sia nell'ambito di climi temperati che in quelli freddi, maturando annualmente.
Le foglioline sono lanceolate; i suoi fiori sono bianchi e a primavera ricoprono e caratterizzano con fascino tante siepi. é ad autunno, una volta cadute le piccole foglie, che la pianta offre i suoi frutti, non ancora del tutto maturi, in quanto necessitano delle prime gelate invernali, affinché le componenti più aspre diventino più accettabili e li rendano più gradevoli.
I suoi frutti sono drupe, piccole, sferiche, bluastre, nerastre con tonalità azzurognole, del diametro di 1 cm circa, della grandezza di un cece americano o di una nocciola; munite di un nocciolo grosso e sproporzionato rispetto alla poca polpa.
Durante la maturazione i frutti sono pruinosi e cerosi; il colore prevalente è verde-ambrato; in genere il colore è assai più intenso durante i mesi estivi. Inizialmente la sua polpa ha sapore molto personalizzato, aspro, astringente, acidulo.
La perfetta maturità del prugnolo è determinata non dall'appassimento che ne pregiudica la succulenza, ma da una certa equilibrata morbidezza del frutto che si verifica alla pressione delle dita, e contemporaneamente da una acquisita e maggiore gradevolezza del gusto, che coincide con il periodo invernale. é questo il momento magico della polpa del prugnolo, una volta eliminato il nocciolo per i tanti usi tradizionali e non. Una polpa ricca di sostanze salutari e tonificanti, digestive e astringenti, di acidi organici, tannini e zuccheri. Considerando la scarsa produttività e la carenza di polpa del suo frutto, non resta che prendere atto della sua problematica e appena significativa utilizzazione. Occorre comunque partire da una congrua quantità disponibile.

Come utilizzare i prugnoli
I frutti si usano appena raccolti oppure conservati in sacchetti. Nella tradizione romagnola il prugnolo veniva usato soprattutto per aromatizzare le robuste, grezze, talvolta terribili (per tossicità ed alcoli anomali) grappe casalinghe, campagnole o proverbialmente "montanare", distillate con alambicchi arrangiati e clandestini da una sostanza povera e già sfruttata come le vinacce, grappe che i nostri vecchi e progenitori di molti di noi, hanno profondamente amato e allegramente bevuto, riscaldando l'inverno e per digerire mangiari grossolani e grassi.

Oppure se ne ricavava un liquore, di gusto appena amaro ma efficace, per vocazione naturale corroborante e digestivo, ottenuto dalla macerazione alcolica (di alcool o grappa, o acquavite di vino) dei prugnoli ben maturi e schiacciati, arricchita con zucchero sciolto e cannella. Un liquore i cui profumi esplodevano con il caffè bollente (anche se ottenuto da cereali tostati in casa sul fuoco del camino entro l'apposito e rotondo utensile a manico lungo); oppure con acqua calda e miele; infine d'estate con acqua fresca del pozzo.
Ma vediamo altre preparazioni. In sciroppo, immettendo i prugnoli lavati ed asciugati, in un vaso ermetico, con zucchero. Poi lo steso vaso viene (ed un tempo veniva) collocato accanto al camino o alla stufa economica a legna, scuotendo di tanto in tanto, fino al completo scioglimento dello zucchero. Dopo un numero adeguato di mesi, opportunamente filtrato e imbottigliato.
Se ne otteneva (e se ne ottiene) un prezioso sciroppo, valido come bibita dissetante, con la granita di ghiaccio, su dolci e gelati.

Oppure marmellate, cucinando i frutti nel vino bianco con zucchero e un pizzico di sale marino (che paradossalmente ne esalta la dolcezza). Il composto ottenuto si lascia raffreddare, al fine di eliminare pazientemente i relativi noccioli, e si passa: indi viene insaporito con limone di giardino grattugiato e spezie; viene poi dosato, raddensato sul fuoco, setacciato e invasato. Oltre agli usi tradizionali ed ovvi, una siffatta marmellata è gastronomicamente proponibile in abbinamento con carni bollite e con formaggi freschi come lo squacquerone e il raviggiolo. Altri gli usi di questo frutto: confetture; gelatine; preparazione di frutta in agrodolce; nell'omonimo distillato; in sostituzione delle bacche di ginepro; in liquori vari; in salse per carni rosse. Va altresì ricordato che nella farmacopea popolare veniva proposto quale febbrifugo.

RICETTE PROPOSTE

Ratafià di prugnoli.
Non è il solito liquore, peraltro molto comune agli appassionati di oggi, perché il ratafià ha radici nelle buone tradizioni liquoristiche francesi e piemontesi. Si ottiene da infusi di frutta, rettificato e zuccherato, di gusto dolce e fruttato, di colore scuro, con gradazione alcolica intorno ai 30¡.
La proposta è interessante perché esalta e ingentilisce sapori naturali forti.
Schematicamente gli ingredienti utili possono essere: 2 l. di buona grappa; 1 Kg di prugnoli; 1 pezzetto di cannella; 3-4 chiodi di garofano; 1 baccello di vaniglia; 500-600 gr di zucchero; 1 l. di acqua; una scorzetta di limone non trattato, privo della parte interna bianca; 10 noccioli schiacciati del frutto. Procedimento. In un vaso di vetro a chiusura ermetica, si mettono a macerare i prugnoli con la grappa, scorzetta di limone, noccioli schiacciati, cannella, chiodi di garofano, per un periodo attorno ai 100 giorni, scuotendo il vaso di tanto in tanto.
Poi si filtra il prodotto cercando di strizzare per quanto possibile i prugnoli, al fine di recuperare il massimo dei loro umori.
A parte si prepara lo sciroppo (con acqua e zucchero), portato dapprima ad ebollizione e lasciato raffreddare; unendo infine al liquido filtrato. Il liquore ottenuto viene opportunamente lasciato affinare per 4-5 mesi travasandolo dopo averlo lasciato riposare e decantare; solo la parte in fondo piuttosto torbida potrà essere ulteriormente filtrata ed unita al resto.
Il ratafià è un eccellente liquore che può essere offerto nel classico bicchierino all'ospite di riguardo, assieme a crostata di frutta rossa o del sottobosco; può essere servito sui gelati alla crema e alla panna per compensarne la grassa dolcezza e per conferire colori forti ed allegri; può essere offerto negli incontri del dopocena invernali, oppure d'estate a temperatura di frigorifero; negli incontri conviviali può essere degustato e raccontato ai commensali.
Appare comunque miracoloso il fatto che da un frutto dimenticato, povero e "montanaro", non considerato se non da una ristretta schiera di amatori e da pochi professionisti, si possa ottenere un liquore raffinato, squisito, suadente, ricco di fragranze. Per quanto riguarda la gradazione, questa può essere opportunamente pilotata attorno ai 25¡ di alcool, quantificando maggiormente l'apporto di acqua.

Salsa di prugnoli
Premesso che non è facile trovare direttamente una congrua quantità di prugnoli per una preparazione significativa; ma se si volesse alla Sagra dei Frutti dimenticati ne vengono offerte dai produttori locali più che buone quantità. Servono 1 Kg di prugnoli; 1/2 Kg di zucchero semolato; 1 l. di vino Albana di Romagna DOCG. secco dell'ultima vendemmia; cannella, chiodi di garofano, sale q.b.; 2 limoni non trattati.
Procedimento.
Una volta lavati, i prugnoli si mettono a bollire per circa un quarto d'ora nel vino unitamente allo zucchero. Si lascia raffreddare il composto per eliminare i noccioli, indi si passa la polpa nel passaverdure. Poi si rimette sul fuoco, arricchendo con gli altri ingredienti di cui sopra. Una volta ottenuta la raddensatura desiderata, la salsa si conserva nei vasettini, opportunamente sterilizzati con 15-20 minuti di bollitura.
Gli usi in cucina sono diversi e vanno comprovati. Interessanti quelli che prevedono l'abbinamento con i bolliti, selvaggina e cacciagione, formaggini vaccini freschi e burrosi, ma anche formaggi pecorini saporiti di media stagionatura. Non fanno parte delle nostre tradizioni e consuetudini alimentari le salse agrodolci per accompagnare in genere le carni, di volatili, arrosti e di cacciagione da pelo, al fine di equilibrare il gusto; tuttavia ciò non dovrebbe impedire a gastronomi e ristoratori di ricorrere auspicabilmente a ricette come questa.
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Pera volpina nella gastronomia

Pera selvatica, piccola, saporita, di polpa dura e granulosa, rotonda, croccante, carente di succhi, soda, rugosa, esteticamente non bella, di colore ruggine, dura, limitata di zuccheri e calorie, ricca di vitamine e sali minerali, aspra e tannica, per cui è necessario cucinarla, per lo più nell'acqua o nel vino, per poterla gustare.
La pera volpina è certamente tipica della collina romagnola, ma cresce selvatica anche nelle piane e valli della Bassa. Le piante inselvatichite offrono frutti più grossi e di polpa più tenera.
Raccolta tradizionalmente in autunno, a temperatura ambiente si conserva svariate settimane, anche se tende a rinsecchirsi. é frutto antico, che cresce spontaneo ed è stato importante per la sopravvivenza nei tempi di guerra o del mondo contadino o degli Appennini in genere; il suo nome è legato al colore o al fatto che fosse frequente preda delle volpi, oppure legata ad una storica deformazione del nome pera poppina (che ricordava maliziosamente i piccoli seni delle giovinette) in pera volpina.
E' frutto simbolicamente lontano anni luce dai circuiti mercantili correnti e che dominano i mercati attuali; ma proprio per questo (osiamo sperarlo) da alcuni anni è stato riscoperto da una ristretta schiera di cultori della frutta collinare e contadina del passato, che ha il suo epicentro in un delizioso e ricco (di erbe officinali ad esempio) paesino collinare ravennate quale Casola Valsenio, ma non solo (ed il riferimento va a tutta la l'area Valsenio).

Come utilizzare le pere volpine
La pera volpina si è sempre consumata cotta, assieme ad altri ingredienti dolci o quasi, tesi comunque a compensare le naturali asprezze.
Un tempo veniva lessata in acqua, e ancor meglio nel vino, aggiungendo castagne e marroni (il che tradisce la vocazione collinare), qualche foglia d'alloro, zucchero, spezie, e opportunamente un pizzico di sale marino grosso. Tradizionalmente assai considerata, nelle diverse varietà, ma anche per il succo, antisettica, anticarie, contro l'acidità, disintossicante, per la bellezza della pelle.

Ancor più tradizionalmente la pera volpina è stata uno degli ingredienti del romagnolissimo "savor", confettura casalinga e contadina, preparata dopo la vendemmia, ottenuto dalla lunga bollitura di mosto fiore non fermentato arricchito (a partire dalla metà della cottura, dopo all'incirca 3-4 ore) da frutti dimenticati, autunnali, frutta secca, canditi, e altre disponibili in mensa o arrangiate alla meglio.
Tornando alla cottura nel vino, va sottolineato che questo va scelto nell'ambito dei vini rossi di buon corpo e alcolicità, aromatizzati con chiodi di garofano e cannella in polvere, addolciti con zucchero. Raggiunto il bollore si immettono le pere volpine, lavate, intere, munite del picciolo, per una cottura di circa 1 ora, in modo che esse restino sommerse nel vino.
La cottura si verifica con il classico stecchino, che a perina cotta deve penetrarla senza difficoltà. La cottura in teglia può avvenire sia sul fuoco che al forno. Una volta cotte le pere volpine si possono mettere in un vassoio, il relativo sugo di cottura può essere altresì filtrato e versato poi sulle pere stesse.
Le pere bollite, insaporite e profumate, caramellate dal vino dolce e dallo zucchero, ammorbidite dalla buona cottura, possono rappresentare un delizioso e gustosissimo dolce.
Dalla pera volpina qualche cuoco raffinato riesce a ottenere una eccellente salsa per accompagnare bolliti, arrosti, carni rosse, ma non solo. Per queste ed altre ricette, di ricerca e particolarmente evolute, si rimanda alle relative ricette proposte dai ristoratori.
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Nespola nella gastronomia

Albero di piccolo sviluppo, selvatico o più propriamente inselvatichito; parzialmente spinoso; della famiglia delle rosacee; con foglie lanceolate e quasi prive di picciolo, spoglianti; cresce per disseminazione spontanea, anche se ciò accade raramente considerati i tempi molto lunghi, per cui conviene ricorrere (in caso di coltivazione) a piante nuove grandicelle fornite dai vivaisti.

Pianta poco comune e sporadica, cresce accanto a siepi e boschetti collinari, ma anche nelle zone incolte non siccitose, ma anche in zone assolate, comunque in climi temperati; fiorisce a maggio-giugno e matura annualmente ad autunno inoltrato; di scarsa importanza, eppure apprezzata nei secoli, tra l'altro, per le funzioni diuretiche, nei tempi di guerra legata alla sopravvivenza della gente di collina e in genere all'economia contadina d'altri tempi, presente singolarmente ai margini dell'aia contadina, accanto ad altri frutti tradizionali. E' pianta comune ricercata più da uccelli e animali selvatici, che dagli uomini, snobbata non solo perché sconosciuta a tanti, ma perché il frutto è poco invitante.

I frutti, anzi i falsi frutti anche in questo caso, sono rotondeggianti, abbastanza carnosi, di colore bruno-ferruginoso, con residui floreali a corona nella parte più alta, non commestibili al momento della raccolta autunnale, perché duri e astringenti; proverbialmente gli ultimi frutti a maturare, con gli incipienti rigori invernali.
Per tradizione la maturazione avveniva con le nespole stese in unico strato, sulla paglia o sulla cosiddetta "pula", assieme alle sorbe, mele selvatiche e ad altri frutti dimenticati. Non sarebbe male procedere pazientemente alla raccolta a maturazione compiuta sulla pianta, dopo le prime gelate, nonostante il rischio dei merli che giungono a beccare e spolpare i frutti esposti.
La maturazione effettuata in periodi mirati (1 mese o poco più), in ogni caso, è probante quando si ha quasi l'impressione della commestibile marcescenza delle stesse nespole: la polpa ha assunto decisamente il colore bruno.
Una volta perfettamente mature le nespole vanno utilizzate al più presto, al fine di evitare processi degenerativi irreversibili.
Le nespole ben mature debbono essere sottoposte, con rigore e pazienza alla eliminazione di tutti i peduncoli e dei lobi dei calici, eventualmente pelate eliminando la pellicola, e naturalmente i noccioli dopo averle tagliate a metà.
La loro polpa contiene tannini, acidi organici, mucillagini, sostanze molli.

Come utilizzare le nespole

Il consumo tradizionale delle nespole è quello naturale, specifico, selezionandole man mano che maturano; mescolata altresì nella macedonia; ma anche bollite nel vino nuovo piuttosto dolce, risultando cotte quando si gonfiano; infine macerate in un vino rosso alcolico e corposo.
Ma se ne ricava anche una marmellata, portando le nespole, piuttosto sode e quindi non completamente mature, a bollire nell'acqua fino ad un giusto intenerimento; indi setacciandole con il passa verdure.
Alla purea ottenuta si unisce zucchero in un rapporto all'incirca di 600 gr di zucchero per 1 Kg di purea, poi si prosegue la cottura per circa 30 minuti. Alla fine la marmellata verrà invasata in piccoli vasettini e sterilizzata come d'uso.
Quasi analogamente, la polpa ben matura delle nespole può essere ridotta in poltiglia, cosparsa di zucchero vanigliato, irrorata con liquore di marasche e servita quale dessert al cucchiaio. Se ne ricavano altresì salse per bolliti; e gelatine.
Per queste ultime si ricorre a zucchero in eguale quantità della polpa di nespole, e all'aroma di alcune scorze di limone non trattato; poi la polpa bollita e setacciata si riporta ad ebollizione con zucchero e limone sino ad un marcato raddensamento; una volta raffreddato il composto, si formano le gelatine, dapprima cosparse di ulteriore zucchero e collocate in piccoli contenitori foderati di carta oleata.
Infine, non senza suggestioni, la purea di nespole può essere destinata ad una pasta dolce ripiena, tipo raviolone cotto al forno; alla fine spolverizzato con zucchero vanigliato e cannella in polvere.
I noccioli sono utili per ottenere l'omonimo vino medicinale.
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Mora di gelso nella gastronomia

Albero della famiglia delle moracee, molto produttivo, con folta chioma, ben riconoscibile. Le poche piante rimaste sono sopravvissute ad antiche coltivazioni, un tempo collegate alla coltivazione del baco da seta.
L'albero è di grande sviluppo, spogliante, poco comune, non più coltivato, adattabile a vari climi, cresce per disseminazione spontanea o per propaggine; ama il sole, ma se la cava anche all'ombra, ama i terreni profondi e umidi; di maturazione annuale, non molto apprezzato (ahimè!), cercato dagli uccelli selvatici (evviva!).
Le more di gelso sono infruttescenze, a 2 colori, nero o biancastro, di forma quasi cilindrica, di sapore dolciastro, piuttosto gradevole, soprattutto negli esemplari ben maturi (quasi cadenti) e di colore nero, che lasciano vistose macchie nelle mani, di polpa vinosa. Si raccolgono a fine estate, ben mature, altrimenti al gusto risulterebbero astringenti.
Come utilizzare le more di gelso

Oltre al tradizionale e gratificante consumo fresco e naturale, le more sono sorprendentemente duttili negli impieghi, utilizzate in gelatine; marmellate; sciroppi; sciroppate; in liquore; confetture; succhi; sorbetti; torte e crostate; nel savor; al rhum; al vino rosso; in macedonia con zucchero e succo di limone assieme a fragole e altri frutti maturi; in salse.

Ricette proposte

Salsa di more di gelsoPer una buona salsa serve una congrua quantità di more scure ben mature, mettiamo 500 gr di frutta, 1 bicchiere di aceto di vino rosso, 1 bicchiere di vino rosso asciutto di buon corpo. Il tutto si mette a bollire a fuoco lento, mescolando frequentemente con un cucchiaio di legno, perché la salsa non si attacchi al fondo; la cottura si protrarrà sino a quando la salsa risulterà raddensata ed amalgamata.
Non manca chi prima di proporla in tavola per accompagnare piatti a base di carni bianche e per insaporire pesci bolliti, cotti al vapore o al forno, ammorbidisce la salsa con una quantità ben soppesata (alcuni cucchiai) di panna da cucina.
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Mele selvatiche nella gastronomia

E' conosciuto soprattutto il melo coltivato. Quello selvatico dà piccoli pomini, del diametro massimo di 3 cm, frutti polposetti, sferici e sgraziati, visibilmente imperfetti; il sapore non è privo di asprezze e acidità che lo rendono difficilmente utilizzabile, ma sa regalare anche sapori che definiremmo personalmente "paradisiaci"!, ad esempio quando sono raccolti direttamente dalla pianta ad autunno inoltrato.

La pianta gode di buon sviluppo, spogliante, spontanea, di clima temperato, ama il sole e terreni freschi e fertili; matura anno dopo anno; è pianta di lunga vita.
L'esperienza ha insegnato che sono più apprezzabili le meline di pianta selvatica spontanea, nata da semi prodotti da piante in precedenza coltivate.
Un tempo era un frutto assai presente per la sua economicità, la facile conservazione e per le tante varietà di mele selvatiche.
E' un frutto delizioso, fragrante, dissetante, considerato antiacidoso, protettivo, disintossicante, vitaminoso.
Si trovano ancora per lo più nei boschetti delle nostre colline, ove fruttificano relativamente abbondanti.
Si raccolgono da fine estate a tutto l'autunno.
Per lo più (e vivaddio) sono mele che non subiscono trattamenti, che si possono discretamente conservare per una parte dell'inverno, poi rinsecchendosi e infiappendosi guadagnano in dolcezza!
 
Come utilizzare le mele selvatiche
Si mangiano ovviamente al naturale, ma possono essere proposte al forno (un tempo finivano regolarmente nel forno della stufa economica a legna , sempre accesa d'inverno); nelle omonime crostate e torte, nonchè nello strudel.
Considerando le piccole quantità disponibili, se ne possono ottenere marmellate, gelatine, confetture, purea, salsa per carni, frittelle, si possono unire a insalatine, usare in pasticceria, essiccate a fettine, per dolci al cucchiaio, nell'involucro di pane e cotta al forno, in macedonie, in piatti salati per arrosti suini, in minestra, in minestra fredda, nel pudding inglese, nel soufflé, nella spuma di mele, nella ricetta delle meline speziate.
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Lampone nella gastronomia

Arbusto selvatico, della famiglia delle rosacee, cespuglioso, cresce vigoroso nelle zone collinari, nelle siepi e cespugli, negli incolti, nelle macchie dei boschi, infestante e assai fruttifero, nei terreni di riporto, nei luoghi petrosi, relativamente aridi, accanto a corsi d'acqua; spogliante; molto comune in collina; di clima torrido ma anche temperato; ama il sole; si sviluppa per disseminazione spontanea; si adatta a tutti i tipi di terreno; molto apprezzato; di maturazione annuale; frequentemente rinselvatichito.
Pianta assai coltivata (assieme alle more di rovo) per i suoi deliziosi frutti, che si raccolgono man mano che maturano; si procede per divisione di cespi o trapianto di polloni, allevati a spalliera e in filari, nelle varietà a frutti giganti, privi di spine e rifiorenti; il loro sapore comunque non è quello offerto dai frutti selvatici!.
Il lampone coltivato richiede zone soleggiate, ma si adatta anche tra gli alberi, si rivela pianta molto produttiva e di precoce maturazione, ramifica con facilità e necessita di potatura e di sostegni, le varietà si diversificano dal colore del frutto e dalla frequenza e dalla lunghezza della fruttificazione. Per tradizione, in collina, "l'azdora" amava mettere i lamponi maturi e appena raccolti, in un vaso con grappa (arricchita di zucchero, con spezie, integrata con alcool o distillato di vino). Più precisamente nel grande vaso si immettevano, man mano che si rendevano disponibili, le più diverse varietà di frutti, lamponi compresi.

La frutta con un po' del suo liquore veniva offerta all'ospite di riguardo, oppure servita su creme e gelati, oppure sopra la frutta (pesche ad esempio). I lamponi, dolcissimi se maturi, aspri (e improponibili) se acerbi, si raccolgono durante l'estate, quando assumono il loro bel colore, secondo l'andamento climatico possono maturare anche verso l'autunno. Sono ricchi di vitamine, acidi, zuccheri, sali minerali, aromi naturali; hanno gusto assai gradevole (per questo utilizzati in farmacopea) e sono altresì ricchi di sostanze coloranti.
Di conseguenza sono apprezzati come energetico, ricostituente vitaminico, digestivo, diuretico; usato anche in cosmesi. La loro naturale fragilità non li renderebbe adatti alla surgelazione casalinga, anche se tale pratica viene riservata alle varietà coltivate. Meglio ricorrere ad altri impieghi, tanti e validissimi. I frutti vanno raccolti con cautela, maturi si staccano agevolmente dai loro ricettacoli, se troppo maturi i frutti si sfaldano in tante piccole palline rotonde, di colore rosso violaceo ancora più intenso.

Come utilizzare i lamponi
Il lampone fa parte della famiglia dei frutti di sottobosco, proposti sempre più a fine pranzo, unitamente a fragoline, more, mirtilli, ribes, uva spina. Si gustano freschi al naturale, appena raccolti, considerando come già osservato la loro deperibilità.
In cucina si prestano a tantissime preparazioni, è consigliabile che siano proposti in modi semplici e immediati, al naturale, cosparsi di poco zucchero, a cui si possono aggiungere succhi di agrumi, panna liquida (poca per carità!), vini aromatici (tipo Moscato d'Asti e Brachetto d'Aqui); nelle macedonie di frutta fanno sempre la loro bella figura.
Un'altra regola fondamentale è quella di utilizzarli al più presto dopo la raccolta (eliminati attentamente i piccioli) non solo per coglierne al massimo sapori e fragranze, ma per prevenire ammaccature; necessitano di immediato e lievissimo lavaggio nell'acqua fredda, oppure collocandoli delicatamente nello scolapasta e immergendoli nell'acqua.
La loro connaturata morbidezza agevola l'eliminazione dei semini e l'ottenimento del succo premendoli con un mestolo di legno dopo averli adagiati su un colino piano; oppure ricorrendo più praticamente al frullatore, per poi filtrarli alla fine per eliminare i semini.
Tante dunque le preparazioni: marmellate; gelatine; sciroppo; liquori; acqueviti; confetture; salse dolci; sorbetti; budini; bevande; dolci; guarnizioni; in gelateria; in pasticceria; per torte, crostate; salse per piatti a base di carne e pesce; nei dessert in genere.
Tantissime le ricette (e ci scusiamo di qualche ripetizione) ai lamponi, considerando che sotto lo stesso titolo le versioni e le varianti sono tante; tante le ricette in cui i lamponi entrano a complemento o in ruolo secondario; tanti i ricettari e i manuali di cucina che riportano nelle ricette questo delizioso protagonista.

Considerarlo oggi tra i frutti dimenticati potrebbe essere, non solo sembrare, una forzatura, considerando la fama di cui ancora gode.
Ecco dunque un elenco antologico proposto alla rinfusa: canederli di ricotta su salsa di lampone; le artusiane ricette della gelatina di lampone in gelo e dell'acetosa di lampone; lamponi al gelato di crema; salsa di lamponi con panna cotta; torta di lamponi in varie versioni; bibita di lamponi; bavarese ai lamponi; elisir di lamponi; sciroppo di lamponi; confettura di lamponi; sorbetto di lamponi; crema di lamponi; salsa Carlton di lamponi; lamponi all'arancia; lamponi con panna acida; semifreddo di lamponi sciroppati; lamponi sciroppati; ribes ai lamponi; vino di lamponi; lamponi in crosta; lamponi nascosti; minestra di lamponi; risotto di lamponi; pudding all'inglese; lamponi alla crema; latte ai lamponi; miglio ai lamponi; savor di lamponi; insalata di lamponi; aceto di lamponi; supreme di lamponi; ciliegie ai lamponi; ratafià di lamponi. Altre ricette possono diventare interessanti come l'acetosa di lamponi, piacevole se destinata a bibite rinfrescanti e diuretiche, nel contempo indicata negli stati influenzali; oppure riservare la gelatina di lamponi alle merende dei bimbi. Suggestiva anche la ricetta dello sciropposo "vino" di lamponi, ottenuto mettendo a macerare, per alcuni giorni, i frutti in un vino rosso importante per corpo e alcolicità (il pensiero va ad una riserva ben selezionata, adeguatamente maturata e affinata sia nel legno che in bottiglia).
Il composto ottenuto viene filtrato con una garza o tela, ricorrendo anche a succo di limone; infine dopo aver pesato tale composto, aggiungere uguale quantità di zucchero. Per ottenere una buona amalgama occorre bollire il tutto per 5 minuti circa. Infine si imbottiglia e si conserva in luogo fresco (come ad esempio in permanenza in frigorifero).
Gli usi del "vino" sono vari, alla stregua di un qualsiasi sciroppo di frutta, per guarnire dolci e composte di frutta, quale liquore leggero in alcool, diluito in acqua frizzante fresca di frigorifero.
Ricette proposte

Succo o sciroppo di lamponiLe modalità sono varie, le succose fragranze fruttate del lampone garantiscono comunque risultati gratificanti. La quantità prescelta di lamponi (consideriamo 1 Kg di frutta) può essere spremuta o centrifugata matura o dopo brevissima e delicata bollitura; indi filtrata o spremuta attraverso una robusta tela al fine di ottenere il massimo di succo e di polpa. A questo punto si unisce lo zucchero.
La quantità consigliata da vari manuali è di circa 1 Kg e mezzo, ma non mancano coloro che aumentano tale dosaggio, personalmente ricorrerei a quantità decisamente minori di zucchero. Questo si mescola al succo, diluendo con acqua appena sufficiente, ricorrendo eventualmente ad un contenuto riscaldamento, per agevolare l'amalgama.
Lo sciroppo ottenuto, una volta imbottigliato e conservato sistematicamente al fresco o in frigorifero, può diventare, nei mesi caldi, una deliziosa bibita dissetante; ma può entrare nella preparazione di dolci e torte ai frutti di sottobosco; servito altresì sul gelato; nelle farciture e nella presentazione di vari dessert. In analogia segnaliamo un altro modo di fare uno sciroppo di lamponi. I frutti vengono lasciati fermentare per alcuni giorni, poi vengono filtrati ed il succo ottenuto mescolato con zucchero nella misura di una volta e mezza della frutta. Il tutto si fa bollire delicatamente per alcuni minuti, aggiungendo poco acido citrico al fine di evitare che lo zucchero cristallizzi. Questo sciroppo, oltre ad essere buono, può conservarsi a lungo.

Liquorino di lamponi
I lamponi si mettono a macerare in alcool, assieme a cannella, chiodi di garofano, macis e altre spezie a piacere. Miscelando il composto con acqua zuccherata si riequilibrerà il liquore all'alcolicità desiderata. Il liquore può essere chiamato ratafià a seconda dei luoghi ove viene prodotto.
Concludiamo con un altro liquore di lamponi, che l'autore prepara annualmente. Consideriamo 1 Kg di lamponi maturi appena raccolti, sani e selezionati, dai quali sono stati eliminati attentamente tutti i piccioli eventuali.
I frutti possono quindi essere appena risciacquati e asciugati all'aria. Poi vengono immessi in un vaso di vetro a chiusura ermetica, unitamente a 2 pezzetti di cannella, 3-4 chiodi di garofano, scorzette di limone non trattato. Poi si ricopre il tutto con buon alcool. Indi si chiude e si lascia riposare il vaso per un mesetto.
Trascorso tale periodo si prepara uno sciroppo di 500 gr di zucchero in 0,500 l. di acqua che a freddo si unisce al vaso; lasciando riposare per un altro mesetto. Alla fine si potrà filtrare e imbottigliare, consentendo al liquore un periodo minimo di 4-5 mesi di affinamento in bottiglia (ma non si tratta di una regola fissa in quanto il primo assaggio può benissimo coincidere con le feste natalizie).
Il dosaggio dell'alcool e dello sciroppo zuccherino, consente la conseguente dosatura del grado di alcolicità desiderato: indicativamente sui 25¡ circa. Un siffatto liquore può essere offerto negli incontri pomeridiani e nel dopocena, servito fresco di frigo; oppure in quantità parsimoniosa sui gelati alla crema; nelle granatine estive; in una bibita rinfrescante e corroborante; nella preparazione di torte e crostate di frutta. Ottenuto il liquore, la frutta recuperata o piuttosto "bruciata" dall'alcool, può essere conservata in acqua zuccherata e servita assieme al liquore.
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Melograno nella gastronomia

Frutto tondeggiante, ricoperto da una buccia pergamenata, spessa, sgradevolmente tannica, di colore giallastro con sfumature rosate; all'interno è suddiviso irregolarmente in tante logge; i semi contenuti sono duri, ricoperti da una bella polpa succosa, gelatinosa, quasi carnosa, di un bel colore rosso vivo, fondente e succosa, dal sapore acidulo e agrodolce, dissetante, diuretico, un tempo considerato medicinale appena astringente, corroborante, utile per astenie.
L'albero, naturalizzato, viene coltivato anche a scopi ornamentali, esprime poche esigenze, se vive nelle macchie mediterranee; infatti man mano che ci si allontana dal Mediterraneo la sua presenza diminuisce sensibilmente. Poco presente in collina se non nelle aie contadine, accanto ad un muro soleggiato, comunque in punti particolarmente riparati che ne consentono la sopravvivenza.

E' frutto storicamente antico, al quale nei tempi sono stati attribuiti simboli quali la fecondità; usato abitualmente nella cucina medievale: nei ripieni a grani interi; oppure se ne ricavava il succo che si univa a salse e sughi; come acetificante al posto dell'agro o dell'aceto.
Alle nostre nonne l'uso della melagrana in cucina era del tutto estraneo, ad eccezione di poche famiglie benestanti che lo usavano al posto del limone con certi pesci (lessati o preparati in arrosto).
Nell'odierna ristorazione viene usata la melagrana da parte di una ristrettissima schiera di chef particolarmente motivati, colti e appassionati della ricerca.
Per l'uso il frutto viene lavato e tagliato a metà, indi con l'aiuto di un cucchiaino se ne recuperano i grani; per ottenere il succo invece si ricorre allo spremiagrumi dopo averlo tagliato a metà.
Come utilizzare la melagrana
Viene usata in pasticceria per la preparazione o guarnizione di dolci di ispirazione orientale.
Per lo sciroppo si bolle il succo ottenuto dai grani e zucchero; una volta ottenuto il giusto raddensamento si immette nei vasi-bottiglie; viene destinato a bevande dissetanti con acqua minerale, ghiaccio, unitamente a succhi di agrumi piuttosto dolci.
Viene utilizzato anche per gelatine, gelati, sorbetti, granatine, salse (ne ricordiamo una specifica per i pesci), insalate, bevande fermentate, aceto, acquavite, macedonie di frutta (sia in grani, che insaporita dal succo), assieme ai formaggi, in vari piatti dolci.

L'esperto Ennio Lazzarini di Rimini, propone il frutto in una deliziosa insalata con mela a fettine, il cuore di una verza sottilmente affettato, scagliette di parmigiano, ovviamente olio extravergine di oliva, succo di limone, e se si vuole peperoncino. L'esperto fotografo e naturalista forlivese Roberto Savelli (recentemente scomparso, di cui conserviamo grande e grata memoria) suggeriva di ricavarne un "vino".
Occorre avere a disposizione una congrua quantità di frutti, sgranati, schiacciati come si fa per l'uva, si lasciano fermentare come per il mosto. Alla fine si otterrà un delizioso "vino" di colore carico e trasparente, di profumo estremamente fragrante di melagrana, di sapore dolce-acidulino altrettanto piacevole. Savelli riferiva altresì che era la bevanda preferita da Federico II¡ di Svevia.
Nel territorio comacchiese (FE) il succo viene utilizzato per spruzzare pesci cucinati sulla graticola (muggine, ma non solo).
 
Ricette proposte

Tacchina alla melagrana
Servono una tacchina piuttosto giovane (attorno ai 2 Kg); 5 melagrane; salvia; olio extravergine di oliva; pepe e sale; 50 gr di burro; 7-8 fettine sottili di lardo o pancetta stagionati.
Per prima cosa si predispone la tacchina: svuotata, pulita, fiammeggiata, lavata, asciugata, conservando a parte le interiora anch'esse ben ripulite.
All'interno dell'animale si colloca un misto di burro, salvia, sale, pepe; in sostituzione del burro si può ricorrere alle fette di lardo o pancetta fermandole con stuzzicadenti; infine, una volta legata con un filo da cucina, la tacchina viene infornata in una pirofila alla cui base è stato versato sufficiente olio extravergine di oliva e/o burro (ma personalmente favorirei la scelta dell'olio).
Nel forno la cottura sarà protratta per circa un paio di ore, ricorrendo di tanto in tanto a bagnare la tacchina con il sugo di cottura. Verso la fine non sarebbe male sfumare con vino bianco secco; ma l'operazione più significativa è quella di versare sul tacchino il succo ottenuto da 3 melagrane (operazione prevista per metà cottura al forno).
A questo punto si prepara la salsina. Questa si ottiene sminuzzando finemente le interiore della tacchina, e rosolandole in padella con poco olio extravergine di oliva per una decina di minuti.
La cottura viene caratterizzata con il succo di 1-2 melagrane, mescolando e amalgamando fino ad una buona cremosità della salsa.

La salsa ottenuta servirà a farcire la tacchina tagliata a pezzi, cospargendoli uniformemente; infine si regolerà di sale e pepe e si farcirà l'animale con i grani di 1-2 melagrane e si metterà in forno molto caldo per alcuni minuti.
Il piatto è pronto, la già di per sè buona tacchina, risulterà sublimata dalla salsina e dalle melagrane. La quantità si riferisce a 6-8 persone.
 
Involtini di palombo alla melagrana
Servono (in riferimento a 6 persone): 1 Kg di palombo tagliato a fette dello spessore di circa 1 cm; 4 melagrane; 1 bicchiere di vino bianco secco; 2 spicchi di aglio; erba cipollina; olio extravergine di oliva; farina tipo 00; sale e pepe; 3 barbabietole.
In una padella si fanno insaporire gli spicchi di aglio nell'olio; indi si procede alla doratura delle fette infarinate del palombo. Poi si aggiungono i grani delle melagrane, in parte interi in parte schiacciati, mescolandoli al liquido di cottura.

Successivamente si versa il bicchiere di vino, si regola di sale e pepe e si lascia cucinare per alcuni minuti a tegame coperto, rigirando e mescolando per altri pochi minuti. Sul piatto di portata saranno collocate le fette di palombo, ben bagnate con la salsina di cottura e spolverizzate con erba cipollina sminuzzata. Una ad una saranno arrotolate e fermate con l'ausilio di stecchini, infine perfezionate ulteriormente con il resto della salsina.Le barbabietole, tagliate a listarelle e condite con olio extravergine di oliva, serviranno da contorno.
                 
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Giuggiolo nella gastronomia

Arbusto o albero selvatico della famiglia delle ramnacee, contorto, con rami distorti, sottili e penduli; foglie piccole e caduche; molto noto e abbastanza comune. Pianta delicata nello sviluppo, perché sensibile al freddo, eppure molto apprezzata dai nostri progenitori di collina. Un tempo ogni casa contadina era caratterizzata da un albero di giuggiole, collocato, opportunamente al riparo di un muro soleggiato al fine di ripararlo dalla tramontana; apprezzato altresì per la sua ombra, peraltro non enorme; oggi si ritrovano accanto alle aie rurali o presso orti abbandonati.
I frutti si raccolgono in autunno, sono simili alle olive, di colore giallastro-arancione, di polpa biancastra, tenera, dolce, acidulina, farinosa, gustosa se appena appassita, ricchi di proteine e vitamine; visivamente ricordano i datteri e si notano per la scorza lucida se maturi; contengono un seme duro munito di punta pungente.
La pianta ama i terreni aridi e mai umidi, è pianta tipicamente mediterranea assente in montagna, presente nelle colline soleggiate di altitudine assai contenuta ed in termini sporadici.

Come utilizzare le giuggiole
Le giuggiole si consumano al naturale appena avvizzite, sarebbe consigliabile gustarle raccolte direttamente dalla pianta, nella fase di inoltrata maturazione, esprimeranno così la loro piuttosto intensa dolcezza, la morbidezza (per la verità un po' croccante) della polpa (la buccia relativamente coriacea) la cui dolcezza sovrasta la componente piacevolmente acidulina.
Oppure le giuggiole vengono essiccate e candite, destinate a marmellate, sciroppi, gelatine, liquori, conservate in alcool e aceto.
Realisticamente, considerata la rarità della sua effettiva presenza e la limitata disponibilità di quantitativi significativi del frutto, valutando il prevalente favore che gode il fruibile consumo immediato, gli impieghi alternativi sono assai ridotti.
Neanche la coltivazione ha preso piede, nonostante il ruolo dei moderni vivaisti che ha ovviato ai lunghissimi tempi della disseminazione spontanea.
Nei tempi alle giuggiole sono state attribuite facoltà salutari, ad esempio è stata impiegata assieme ad altri frutti (uva, fichi, datteri) per comporre una bevanda per mitigare la tosse. Più seriamente la giuggiola contiene vitamina C, acidi, ma anche zuccheri, proteine vegetali e mucillagini.

Ricette proposte

Marmellata di giuggiole
Per preparare l'omonima marmellata le giuggiole vengono sbollentate per eliminare il seme; la polpa ricavata viene tritata nel passatutto utilizzato in genere per le verdure. La succosa polpa ottenuta, unita a metà peso di zucchero viene bollita per circa 30 minuti; infine invasata e sterilizzata nel modo consueto.
Liquore di giuggiole
Degno di segnalazione (a favore di qualche buongustaio) la ricetta del liquore di giuggiole. Sulla base di 500 gr di frutta si immette la stessa in un vaso a chiusura ermetica (ovviamente le giuggiole dovranno risultare mature ed essere lavate) con 0,500 l. di alcool, 2 hg. di zucchero, scorza di limone non trattato e mezzo baccello di vaniglia. Il vaso si pone al sole di settembre, rimuovendolo di tanto in tanto, per agevolare il completo scioglimento dello zucchero, garantendo una successiva maturazione di almeno 8 mesi. Il liquore e le relative giuggiole da degustare sono un gradevole e singolare digestivo, da offrire nel dopopranzo e nel dopocena.

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