mercoledì 3 ottobre 2012

Mora di Gelso

Storia


Per mora qui intendiamo il frutto del gelso, detto anche moro, di colore biancastro o nero violaceo, a seconda che provenga dal moro bianco o dal moro nero. Il frutto di quest'ultimo è simile a quello dei rovi, ed è grosso, nero, lucido, acidulo e molto succoso, mentre il frutto del moro bianco è più piccolo e meno saporito.
"Il Moro - scrive il Mattioli - è di due spetie, bianco cioè, e nero, e sono così chiamati solamente dal colore de i frutti loro, ipperò che ve ne sono di neri, e di bianchi differenti non solamente di colore, ma di grandezza, e di sapore anchora.
Il nero produce il frutto come il Rovo, ma più grande, e più lungo tutto ripieno d'un succhio, come sangue, il qual mangiandosi imbratta le mani, e la bocca. Questo prima è verde, e bianchiccio, crescendo diventa rosso, e maturandosi diventa nero.
Il rosso è al sapore costrettivo, ma diventando nero diventa di forte maturo e dolce, che poco ò niente vi rimane dell'austero.

Le More, quando son mature, solvono il corpo, e le immature secche lo ristagnano: e imperò utilmente s'accomodano nella dissenteria, ne i flussi stomachali, e in ogni altra fonte di flussi. è oltra ciò noto à ciascuno, che il succo delle mature è utile ne i medicamenti, che si compongono per lo stomaco, per la facultà costrettiva, che si ritrova in lui.
Le More mangiate avanti al cibo, presto scendono dallo stomaco, facendo la via à i cibi, che vengono dopo loro, ma mangiate dopo al cibo, subito si corrompono insieme con esso.
Il che fanno ancora, se quando si mangiano, ritrovano nello stomaco cattivi humori, ma non corrompendosi, inumidiscono il corpo, ne però lo rinfrescano, se non si mangiano ben rinfrescate. Danno pochissimo nutrimento, come fanno anchora i peponi; nondimeno non causano il vomito, ne son contrarie allo stomaco, come son quelli".
Il gelso nero, anticamente era coltivato per il suo frutto mangereccio, poi dalla fine del primo millennio la sua importanza si legò sempre più all'allevamento del baco da seta al quale forniva nutrimento tramite le foglie, affiancato poi dal gelso bianco verso la metà del '500.
Fino ad un secolo fa ogni famiglia colonica allevava i bachi e quindi disponeva di un notevole numero di piante di gelso.

Ancora nel 1929 il catasto agrario annovera nella valle del Senio circa 20 ettari impiantati a gelsi, scomparsi anch'essi di seguito all'abbandono dell'allevamento del baco da seta la cui produzione è stata via via sostituita dalle fibre artificiali.
Questi alberi, oltre alle foglie, fornivano i loro frutti, rossi e grandi, da consumarsi freschi o per conserve, sciroppi ed anche vini di frutta.
Orazio ne consigliava il consumo per le proprietà medicinali e nutritive grazie al forte potere energetico; mentre Gargilio Marziale insegnava a trarre dal frutto un potente medicamento contro i mali della bocca, dei denti, delle fauci e delle arterie.
La medicina popolare consigliava invece lo sciroppo di more quando era necessaria una azione astringente ed antinfiammatoria, mentre le foglie avevano proprietà febbrifughe. I frutti del gelso bianco, più piccoli e meno saporiti, venivano essiccati per ricavarne una farina dolcificante. Nella cultura popolare le more (non si sa se sono quelle di gelso o di rovo) entrano in un famoso detto che recita: asptêr al môr d'maz (Aspettare le more di maggio), vale a dire aspettare chi non viene, attendere inutilmente; ma anche attendere qualcosa e non far nulla per conseguirla.